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Vent’anni di musica indie a 360°: intervista a Marco Milanesio (9cento9)

LostHighways incontra 9cento9, alias Marco Milanesio, e quindi più di un ventennio di musica indie italiana. Dal 1982 Marco Milanesio è attivo nell’ambiente indipendente ricoprendo diversi ruoli: dal musicista al sound engineer, dalla post-produzione al mixing.
In questa avventura ha collaborato con numerosi artisti di diversi stili musicali, dai Perturbazione ai Marlene Kuntz, dai Larsen a Julia Kent. E’ aperto al mondo delle net-labels, Lletor (l’ultimo lavoro) a nome 9cento9 è uscito per la torinese Chew-z.
L’intervista che segue è una sorta di racconto passionale di chi lavora nel mondo indipendente della musica da una vita e ne conosce pregi e difetti.

Ci puoi descrivere la genesi di Lletor, questo viaggio alla scoperta di mondi siderali?

Lletor, musicalmente, è parte del proseguire di una ricerca sonora che prende origine dal progetto DsorDNE, gruppo di musica elettronica nato negli anni 80 e di cui sono stato fondatore e componente, poi diventato 9cento9. Mi piace trovare nel suono e in quel qualcosa di vicino alla musica la possibilità di creare ambienti nei cui spazi provare ad esprimere una propria sensibilità. Sono affascinato dall’ascoltare e dal lasciarmi coinvolgere nello sviluppo e realizzazione di tessiture e ambienti sonori, quelli che hai definito mondi siderali, utilizzando combinazioni di suoni sia elettronici che concreti e che portino poi a realizzare lavori come Lletor. Sono opere, in questo caso, da non musicista e che non hanno alcuna pretesa di possedere significati specifici, esistono in quanto funzionali al semplice potere evocativo che possono o riescono a produrre. Una ricerca anche sostenuta dall’attività di tecnico del suono che mi conduce a prendere in esame il suono e il suo timbro oltre che il suonare.

La musica elettronica e il suo potere evocativo. Cosa pensa a riguardo 9cento9?
La musica elettronica ha sempre esercitato in me un grande interesse, possiede una forza ammaliatrice che ritrovo sia in ambito di ricerca che in quello pop. Anche se devo dire che non è l’ unico ascolto che ho, preferisco avere più riferimenti musicali e poter vedere rappresentati più generi.

Sei attivo dal 1982 come musicista, sound engineer. Ti sei occupato di audio recording, mix&remix, soundtracks, editing, post production, mastering, dubbing, indoor and outdoor acoustics. Secondo te è possibile ancora esplorare sperimentalmente nuove soluzione sonore o è stata raggiunta la saturazione massima in tal senso?
Non saprei dire se è stata raggiunta una saturazione massima, ogni arte segue una sua evoluzione quindi anche la musica percorrerà probabilmente nuovi percorsi evolutivi. Voglio comunque nutrire la speranza che l’uso del computer possa influenzare sempre meno il desiderio di sperimentare. Utilizzo molto il pc, ma a volte resto perplesso ad usare una macchina il cui funzionamento non è stato ideato per creare quanto piuttosto per far girare dei software che obbligano a seguire passo passo degli iter molto schematici. In ogni modo per il prossimo futuro le soluzioni sonore riguarderanno più le modalità di diffondere e fruire della musica piuttosto che quelle relative al modo di crearla e produrla. E francamente… preferisco anche pensare che, quando una bella canzone di musica pop o rock (o quello che ci pare) riesce in qualche modo a suscitare la nostra attenzione e a trasmetterci sensazioni penetrando la nostra sfera emozionale, il non essere innovativa non rappresenta necessariamente un difetto.

Hai collaborato con numerosi artisti legati a diversi stili musicali. Dai Perturbazione ai Marlene Kuntz, dai Larsen a Julia Kent. Per quale di queste collaborazioni ti senti orgoglioso e perché?
Innanzitutto è importante precisare che con molti dei musicisti con cui ho collaborato è nata un’intesa che in alcuni casi dura da anni (Fabrizio Modonese Palumbo, Stefano Giaccone, Daniele Brusaschetto per citarne alcuni), mentre con altri si è invece più o meno velocemente andata ad esaurire. Ogni cosa resta comunque un’opera a sè che mantiene un valore unico, e per ognuna ho sempre profuso il massimo delle mie capacità e conoscenze a prescindere dallo stile musicale, e il più delle volte ne sono uscito e ne esco arricchito da sempre nuovi stimoli. Per cui onestamente credo che per un motivo o per un altro sia orgoglioso di tutte queste collaborazioni. Dai Perturbazione, con cui ho seguito la produzione dei primi dischi, ai Marlene Kuntz con i quali ho lavorato durante parte delle prime realizzazioni, dai Detriti con Egle Sommacal, passato poi con i Massimo Volume, a diversi dischi dei Cripple Bastards e contemporaneamente con i Gatto Ciliegia oppure i Larsen piuttosto che Ronin o Brusaschetto. Ecco forse proprio con i Larsen, ma principalmente per via della continuità del progetto che mi fa sentire un poco come quinto elemento aggiunto, ho avuto molte gratificazioni. Tieni presente che, essendo un tecnico del suono, spesso ricopro un ruolo collaborativo che abbraccia una sfera più tecnica, per cui a volte questa collaborazione esula da modalità prettamente artistiche e ciò mi permette di lasciarmi coinvolgere magari contemporaneamente a progetti che musicalmente possono risultare completamente diversi. Riguardo a Julia Kent, musicista che stimo moltissimo, la collaborazione più importante ha riguardato il progetto Blind Cave Salamander sfociata in un cd pubblicato a settembre 2007 e con i quali si è attualmente in fase di registrazione per il secondo lavoro (in corso ora tra febbraio/marzo 2008)

Cosa pensi della musica indipendente in Italia?
Non riesco a pensarne preferisco ascoltarla. Ogni giorno sono a contatto con quella che è la scena musicale indipendente (indipendente poi oggi come oggi non saprei nemmeno pensare a cosa riferirla con precisione) e devo dire che è un po’ un ambiente chiuso in se stesso e con la tendenza ad isolarsi come a voler difendere o custodire qualcosa…. e non saprei nemmeno dire cosa dovrebbe difendere… sembra non abbia voglia di crescere senza rinunciare ad adottare meccanismi che la impoveriscano del significato della parola indipendenza. Naturalmente ci sono comunque isole più felici in cui si esercita ancora il piacere di SUONARE, CREARE, DIVERTIRSI, dove gli stimoli non vengono condizionati dalla semplice necessità di emergere e di mettersi in luce. E in queste isole troviamo sia musicisti che quanti si occupano di musica, come di chi ne scrive o chi la produce, chi la fa ascoltare e la propone… una parentesi per citare doverosamente sPAZIO 211, locale che a Torino propone molta musica dal vivo senza operare filltraggi particolarmente selettivi.

Cosa pensi del mondo emergente delle net-labels?
Le trovo una stupenda innovativa e fresca modalità di proporsi. Alcune (e dall universo delle netlabels, che sono tantissime, cito tra tutte CHEW-Z, netlabel gestita principalmente da Daniele Pagliero e Fabio Battistetti) hanno portato una ventata di vera e fresca voglia di produrre e diffondere musica. Si ritrova finalmente un modo di essere artigiani della musica, farla e produrla e poi seguirne il decorso artistico e la diffusione in un modo completamente umano e con grande autonomia, permettendosi pure una potenziale diffusione infinita. La prima rivoluzione musicale dopo il punk che abbia la potenzialità di arrivare a molti senza perdere per strada, e per compromessi, la freschezza innovativa di un messaggio trasmesso così come è stato concepito e realizzato.

Un disco che ti ha cambiato la vita?
Mi metti in difficoltà, sono così tanti… sicuramente Unknown pleasure dei Joy Division. Era il settembre 1981, in un negozio di vinili usati stavo leggendo le note di copertina di Emotional Rescue dei Rolling Stones e a fianco un ragazzo e una ragazza commentavano un disco con copertina nera dicendo qualcosa del tipo “guarda, è l’edizione inglese della factory, non è quella della Base Records… ma costa 6500 lire… nulla”, lo riposero, io riposi il padellone degli Stones e decisi di comprare, senza conoscerlo per nulla, Unknown Pleasure. Andai a casa e lo ascoltai e… cambiai qualcosa della mia vita musicale. Aggiungo anche London Calling dei Clash.

Quanto devi al web (es. MySpace, peer to peer, lastfm) in termini di promozione della tua musica?
Ha facilitato molto la possibilità di contattare chi si interessa di musica. Per anni, fino a metà dei 90, ho gestito insieme a Marco Pustianaz e Massimilliano Gatti una piccola etichetta discografica, HAX materiali per la comunicazione, e i contatti promozionali venivano gestiti sia tramite la posta tradizionale e sia passando più o meno indenni attraverso bollette del telefono stratosferiche, alle quali andava aggiunto un numero incredibile di audiocassette che giravano per il mondo. In proporzione una fatica immane rispetto ai mezzi attuali. Ora è più facile per fortuna, poi si può obiettare che tra tanta offerta è difficile selezionare, ma onestamente almeno in questo caso è meglio il caos che il silenzio. Poi con il tempo si imparerà anche a gestire.
Grazie per l’attenzione dedicatami. Auguro ogni fortuna a Lost Highways

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Un solo commento

  1. …interessante.
    Specialmente le impressioni sul web e sull’offerta. Comunque ha ragione Marco, meglio il caos che il silenzio.

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