“Oggi si soffre e si fa soffrire, si uccide e si muore, si compiono cose meravigliose e cose orrende, non già per salvare la propria anima, ma per salvare la propria pelle. Si crede di lottare e di soffrire per la propria anima, ma in realtà si lotta e si soffre per la propria pelle. Tutto il resto non conta.” (Curzio Malaparte, La Pelle).
Storiografia della nudità, del porsi nudi davanti alle cose lasciando che la verità scortichi l’apparenza fino a mostrare la carne, fino a raggiungere il luogo del sangue. E’ questo la discografia di Cesare Basile solista, da La Pelle (1995) fino a Hellequin Song (2006), passando attraverso Stereoscope (1999), Closet meraviglia (2001) e Gran Calavera Elettrica (2003).
Percorso della lotta in cui l’indole rock, la cupezza blues e una certa sfrontatezza folk misurano il passo con l’urgenza evocativa del racconto, fino a diluirsi in una forma che evade ogni schema, lontana da ogni retorica, dilatata sul piano visionario ed espressivo, che destabilizza arrivando ad indagare le derive, gli anfratti, i momenti meno consoni, i dettagli della polvere.
Un viaggio verso il fondo, verso la terra, dalla razionalità all’istinto, dalla pelle alle viscere, spingendosi sempre un pochino oltre la misura della convenienza, dentro la propria confusione e certe titubanze rispetto alla vita, con gli occhi tenuti ben fissi in alto, accecati di luce, luce che genera ombre, ombre che bussano, si ri-animano, si ri-appropriano del diritto di dire, di infastidire.
Romanzo incompiuto della vita e della morte, opposti che si appartengono, che invocano bellezza ciascuna nell’atto di compiersi; del dolore che trapassa da fatto pubblico a fatto intimo, vicissitudine privata, trattata con sincerità ed una sempre più disarmante lucidità; dell’amore come mezzo estremo e violento di legame, di conoscenza, che deve essere usato, abusato; della dignità nella sconfitta, nel silenzio di certa miseria; del peccato contro se stessi, nel disordine della fede, nello sdegno.
Capitolo dopo capitolo finiamo per ri-scoprire che ciò che è vero, è vero sulla pelle, da dietro il respiro, fra le gambe. “Quante bugie dentro il grembo dell’io/troppe menzogne gentili/ma poi crollano sotto la vita che sa mentire tanto più a fondo di noi” (Fari, La pelle). E ciò che è vero lo è comunque. Tanto vale riconciliarsi con le macerie del disinganno, riappropriarsi della bellezza, fare la pace con quei sogni che vorresti prendere a pedate in faccia e dirgli addio (Di schianto, Closet meraviglia), con le proprie origini di urla e gemiti (Apocrifo, Gran Calavera Elettrica), dentro ai luoghi dell’addio, dentro al deserto, nell’ora in cui il giorno piove negli occhi ( Il deserto, Hellequin song).
Di passo in passo, non muta la sostanza dei luoghi, dello spazio: sono i soliti luoghi ma riscoperti come luoghi dell’io, è il solito spazio ma narrato con toni che disorientano per la loro invasiva confidenza, per il loro essere presenza, fantasma. Dal corpo alla dimensione tripla del sentire, dalle sbarre alla schiettezza dei teschi, dai demoni agli assassini: non c’è volgarità laddove non c’è finzione; non c’è salvezza laddove la paura sbarra la via di fuga. I brividi sono gli stessi: semplicemente tendono a concentrarsi dietro le spalle, ferendo con la lama sempre più affilata del bisogno, aprendo un varco da cui si insinua l’eleganza di una certa pietà nel sentire che le cose si frantumano e, frantumandosi, si perdono.
Dal primo album con i Candida Lilith (1987) all’esperienza con i Kim Squad sino alla fondazione dei Quartered Shadows; da Catania a Roma fino a Berlino; e poi da qui all’esordio solista. Da rocker a cantautore, blues man con le mani in terra americana e i piedi a calpestare i grigi di una certa Europa, siciliano di fatto, milanese d’eccezione: l’itinerario artistico di Cesare Basile suggerisce una scelta, quella di chi ha deciso di lasciare davvero poco al caso, concedendosi il privilegio di dedicarsi completamente a ciò che ama fare, crescendoci dentro, nel confronto e con l’intelligenza del mettersi in discussione, senza che il nuovo smentisca il passato, piuttosto contraendolo negli esiti, negli accessori.
Lo dimostra inoltre il piacere singolare e il sempre buon esito delle collaborazioni, da Hugo Race (Nick Cave & Bad seeds – True Spirit) a John Bonnar (Dead can dance), dall’ormai inseparabile John Parish (produttore, fra gli altri, di P.J. Harvey, Sparklehorse, Giant Sand, Tracy Chapman, Eels, Goldfrapp) a Manuel Agnelli (Afterhours, produttore del primo singolo estratto da Closet meraviglia, Tra il tuo corpo e la cena e backing vocals in Fratello gentile, Hellequin song ), da Nada Malanima a Marta Collica (Sepiatone), da Emidio Clementi ( Massimo Volume) a Jean-Marc Butty (P.J. Harvey – Venus), da Stef Kamill Carlens ( ex Deus – Zita Swoon) a Giorgia Poli (ex Scisma, Micevice, Loma).
Anche oggi, in attesa della pubblicazione dell’ultimo suo album, Storia di Caino (in uscita il 04/04/2008 per Urtovox), sappiamo confermata la partecipazione alla realizzazione del disco di John Parish (produzione artistica, mixaggio, piano e chitarra elettrica in alcune tracce), di Luca Recchia (basso, contrabbasso, didjeridoo,cori), Marcello Sorge (batteria, percussioni, cori), Michela Manfroi (pianoforte, organo, cori), Rodrigo Derasmo (violini, cori), Marcello Caudullo (chitarra elettrica, diatonica, marranzano, cori) e Lorenzo Corti (chitarra elettrica, lap steel guitar) e la collaborazione di Robert Fisher (Willard Grace Conspiracy), Giorgia Poli, Daniela Ardito e Manuela Malfitano, Micol Martinez, Tazio Iacobacci, Massimo Ferrarotto e Fabio Rondinini.
Se, vista la levatura dei nomi di cui sopra e considerato l’originalissimo e spigoloso talento di cui Cesare Basile ha alimentato il proprio lavoro fino a qui, può essere concesso al gusto il presentimento di qualcosa di straordinario, l’azzardo di un ulteriore salto in direzione di una qualità che doppi il pregio del diamante grezzo; e se è vero che sono le canzoni a chiedere di essere cantate, l’augurio è che l’abbiano fatto con pochissimo tatto ma con la rara eleganza della grazia quando scuote dal senso di colpa e si riappropria del proprio angolo di mondo.
Inchiodati, perchè lo scorrere non è solo lieve.
E’ di sangue, spesso.
Rob, ci fai soffiare sull’attesa.
Cesare Basile è stata la sorpresa più bella di un paio di anni fa.
Un artista suggeritomi dal mio doppelganger maranese e che mi ha lasciato addosso un soprannome.
Un artista completo.