Nella bocca scura e gelida di una notte profumata d’inverno “il vivido sogno depone le sue uova” (Paul Celan), bolle traslucide scrigno di battiti e respiri che dischiudendosi effondono musica, un canto fatto di fiducia nella meraviglia, una melodia che al pensiero dà fiducia nella meraviglia. Il sogno imperla i sensi con la sua fecondità, affida loro la sua stessa possibilità confidando in quella capacità immaginifica che nulla può far venir meno, che tutto può destare ed alimentare, e vi confida perché sa che tra i palpiti della bellezza e i ricami della fantasia il mondo risorge, si fa migliore, trascende i propri orrori e le proprie miserie.
Il sogno partorisce se stesso sul candore di un’opportunità. Carta bianca… a dire con un’immagine la libertà di scelta offerta da un luogo nato per custodire e diffondere arte. Carta bianca… un dono riposto tra le mani di Carmen Consoli, che ha voluto farne occasione d’incontro, esperienza di condivisione per dar voce ad una realtà che proprio in questo ha la sua sostanza, nel con-vivere di molteplici anime creatrici d’incanto, insieme pro-tese verso una bellezza che è speranza giacché riconosce in sé la forza del cambiamento e il suo stesso esser possibile: è la realtà di un’“orchestra mobile di canzoni e musicisti”, il Collettivo Angelo Mai.
Tra la morbidezza di Un giorno qualunque e il sapore di Fiori rari, tra l’impeto dell’Oceano e Il mestiere di vivere col suo reclamare un sentire autentico, tra profumi e lacrime Blunotte e un vento d’Oriente, si dispiegano i movimenti sinuosi dell’aria percorsa da improvvisazioni jazzistiche, i morsi del rock e l’eleganza della canzone d’autore, si dispiega la diversità come occasione, l’incontro come ricchezza. La voce di Raffaella Misiti dilaga, è un’onda in cui cadere per lasciarsi trasportare, affinché si giunga al cospetto del soffio di ottone vestiti solo d’acqua. Le corde del violino accarezzate da Rodrigo D’Erasmo legano, fissano brividi ai sensi mentre due cuori pulsano percossi dai movimenti sapienti di Fabio Rondanini e Cristiano De Fabritiis. Le chitarre avvolgono con una stretta di raso, asciugano lacrime o lacerano, ma solo perché si senta più forte ardere la bellezza mentre le dita di Andrea Pesce sfiorano il pianoforte per dipingere il bagliore delle stelle, quei lampi d’emozione che su ogni fronte posano il loro bacio. Così, nella sera di un giorno che è uno degli infiniti frammenti di tempo in cui onorare l’amore, l’amore viene onorato vivendo la passione di un’idea, sentendolo nei gesti che intrecciano note e parole facendone una culla per la poesia, avvertendolo nella luce di sguardi e sorrisi in cui singole identità trovano una loro unità. A questa unità (Massimo Giangrande-Pino Marino-Renato Ciunfrini-Gabriele Lazzarotti-Davide Piersanti-Roberto Angelini-Francesco Forni-Fabio Rondanini-Cristiano De Fabritiis-Rodrigo D’Erasmo-Andrea Pesce-Raffaella Misiti) partecipano Carmen Consoli e Niccolò Fabi fondendo il loro respiro con quello di un’orchestra che è un corpo le cui membra sono anime, atti d’amore rivolti all’incanto, sangue che scorre verso ed attraverso l’altro… quattordici musici, storie e percorsi che scelgono di confluire per raccontare, affermare e sostenere una bellezza luminosa perché capace di rischiarare l’orizzonte, di disegnarlo, di evocarne lo splendore e il calore possibili.
Abbracciati dal velluto, si sente una musica che narra un luogo, un convitto abbandonato nel cuore di Roma tra i vicoli del Rione Monti, uno spazio che è stato casa per famiglie in emergenza abitativa, per l’arte, per il sogno. L’Angelo Mai Occupato ha accolto chi era vessato dalla necessità di una dimora e pativa l’impossibilità di averla insieme a mostre e libri, a lembi di pagine e colori, ha trasformato le aule dismesse in un “laboratorio aperto di arti e culture”, ha offerto cibo alla carne e al pensiero, la possibilità di fruire di musica e cinema, di danza e teatro a costi minimi o nulli veicolando conoscenza e coscienza. Si racconta questa storia, questo luogo da cui la bellezza è stata cacciata, si raccontano i sogni che lo hanno abitato e che, seppur sfrattati, sono rimasti vivi… corrono e scorrono ancora, in attesa di una casa nuova, costruendo una nuova dimora, continuando a nascere e riversarsi per le vie e nelle anime, nelle vene della città e dei corpi. È una storia che fa bene ascoltare oggi, in giorno in cui per le strade ci si imbatte nei petali rossi delle rose ma anche nei passi delle donne che difendono l’inalienabile diritto alla libertà, alla scelta, mentre un altro luogo di cultura e bellezza, il Rialto Sant’Ambrogio, viene chiuso, sgombrato dai desideri, sigillato. Fa bene ascoltare la storia dell’Angelo Mai, la storia di chi testimonia con il proprio agire, con il proprio creare, come l’esperienza del bello possa incidere sul modo di stare al mondo dell’uomo, rendendo questi più libero e senziente, più esposto all’estasi che sa nutrirlo. Fa bene sentirsi ricordare che basta una canzone o una poesia a forma di rosa perché un baratro si tramuti in occasione di vertigine, perché il buio si lasci percepire come il grembo che custodisce e concepisce luce, perché la dignità dell’uomo venga preservata. È una storia raccontata attraverso l’arte permeata da un’idea, animata dalla coscienza che l’estetica può generare un’etica, desiderosa di donare meraviglia affinché in questa s’installi e sviluppi il nostro stesso esserci e la possibilità per lo sguardo di scorgere senso.
“Words are flowing out like endless rain into a paper cup,/They slither while they pass/They slip away across the universe/Pools of sorrow, waves of joy are drifting through my open mind,/Possessing and caressing me”…e un canto corale cinge, facendo sentire all’anima l’intenso fervore della parola quando si fa poesia, mentre gli occhi vengono accarezzati da immagini di volti che si aprono come fiori di primavera tra macerie da tramutare in casa. Non sono state ancora erette le nuove mura che possono accogliere gli aneliti dell’Angelo Mai, sono in divenire, ma anche senza dimora il suo respiro soffia nei corpi, parla ai sensi e lascia nelle viscere la consapevolezza che “siamo fatti della stessa materia dei sogni” (William Shakespeare).